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Le trasformazioni (digitali e non): o sono strategiche o non sono

È stato da poco pubblicato il nuovo report “Terzo Settore e Digitale”, frutto dell’indagine realizzata da Italia Nonprofit in collaborazione con Teamystem sulle abitudini di utilizzo degli strumenti digitali da parte delle organizzazioni del Terzo Settore in Italia.
Come ENGAGEDin abbiamo aderito convintamente alla rete dei partner di progetto, convinti della necessità che approfondire il tema della digitalizzazione del Terzo Settore italiano vada ben oltre, per le sue implicazioni strategico-strutturali, il mero focus sugli strumenti. E dunque il taglio della ricerca ci interessava particolarmente proprio a partire da questa prospettiva sul tema.
Ci fa piacere dunque condividere alcune ragioni di metodo e, ancora più importante, di merito sull’ambito indagato.

Ci siamo più volte trovati a rimarcare la necessità di disporre di dati e indagini realizzate con rigore e, ancora più spesso, a constatare anche con altri colleghi quanto pochi, in realtà, siano tali “facts & figures” riferiti ai vari ambiti del Terzo Settore italiano.

Da professionisti, questo deficit è penalizzante in relazione alla conoscenza del contesto in cui ci si muove, al confronto internazionale, alla visione di sviluppo, e rimarca ulteriormente la tendenza solipsistica da cui il nostro Paese spesso è affetto.

Avere una consapevolezza chiara delle macro-tendenze e dei comportamenti è cruciale per muoversi non solo dal punto di vista tattico ma, ancora più importante, da quello strategico. Non ripeteremo qui quello che abbiamo già detto in tanti più volte: se mai ce ne fosse stato bisogno, dalla pandemia in poi il ruolo di un Terzo Settore maturo, stabile, organicamente parte di processi di sviluppo, è emerso in tutta la sua importanza.

Indagini e ricerche che ne investighino le caratteristiche sono quindi fondamentali per la comprensione del contesto e dei trend.

 

Tra i dati emersi dal report – a proposito: lo potete scaricare qui – ce ne sono alcuni che ci interessa menzionare:

  • il difetto di competenze digitali nell’ambito della raccolta fondi online e, quindi, lo scarso presidio di tutta l’area del digital fundraising (nonostante i proclami di effettiva rivoluzione che si levano periodicamente);

 

  • un approccio al digitale che solo per il 13% degli Enti rispondenti fa parte di una prospettiva strategica – il che induce a pensare che la tendenza, perlomeno tra i partecipanti all’indagine, sia quella di attivare strumenti di fundraising online slegati da una strategia integrata;

 

  • la percezione di altre sfide prioritarie rispetto alla digitalizzazione da parte del 36.6% dei rispondenti, quale ostacolo alla digitalizzazione della propria organizzazione unita, per il 25% degli stessi, alla necessità di un cambiamento nella cultura interna dell’ente.

 

Tutte e tre le aree rispondono, a nostro parere, ad una questione che avevamo presentato anni fa – era il 2019, un’altra era, ma evidentemente il tema si era già affacciato in nuce – nel corso dell’iRaiser Day dedicato alla trasformazione digitale.

Avevamo concentrato la nostra riflessione sul tema della governance nei processi di evoluzione delle organizzazioni verso la trasformazione digitale e, pur con i dovuti aggiornamenti dovuti all’evento disruptive del Covid-19 e a tutto quello che è venuto dopo, ci sono alcune considerazioni che le risposte all’indagine di Italia Nonprofit ripropongono.

In primo luogo il misunderstanding, sovrapposizione o presunzione di equivalenza, tra il digital fundraising e il crowdfunding – o la landing page o un altro degli strumenti che rientrano in quest’area – secondo il criterio alternativo dell’ “o – o” invece che dell’integrazione (“e – e”). In altre parole: la confusione tra lo strumento, la combinazione di strumenti e il fine a cui gli stessi tendono, che dovrebbe essere parte di una strategia più ampia di cui il singolo tool è solo uno dei veicoli di raccolta.

L’approccio strategico, quindi, come modalità di pensiero che investe l’ambito digitale come qualunque altro ambito: se c’è, le cose funzionano, diversamente non funzionerà il fundraising online come non avrà funzionato quello tradizionale.

Un approccio corretto/strategico include la sfera delle competenze: le tecnicalità, intese come complesso di skills e abilità tecniche vere e proprie che sono ampie e comprendono strumenti e veicoli diversi.

Il digital fundraising non è, come scrivevamo più sopra, avere la landing page – o, come ci è accaduto a volte di vedere, il tasto di collegamento a PayPal; è anche la landing page, ma solo se intesa come punto di arrivo di un’esperienza con l’organizzazione che inizia più a monte e, in ogni caso, è uno degli strumenti, che funzionerà al suo meglio solo se e in quanto integrato con il resto della strategia.

Non significa, naturalmente, che per far digital fundraising occorra necessariamente partire con una molteplicità di strumenti – e questo vale in particolare per le piccole e medie organizzazioni. Significa che, per partire, occorre una visione strategica che, secondo una logica step-by-step, integri anche la dimensione digitale nell’approccio complessivo dell’organizzazione. Un work in progress come metodologia, in poche parole, sulla base di uno degli acronimi che più spesso proponiamo a lezione e in consulenza come metodo di lavoro: KISS, ovvero keep it super simple, così da maneggiare competenze e processi e, progressivamente, aggiungere complessità. In questo modo la digitalizzazione diventa realmente parte della cultura organizzativa e non come spesso accade, un elemento posticcio da aggiungere “perché si deve”.

Una delle domande che proponevamo nel 2019 partiva dalla necessità, per comprendere appieno il concetto di trasformazione digitale, di utilizzare una lente diversa per affrontare il tema, prendendo a prestito dal bellissimo libro “The Game”, di Alessandro Baricco (ed. Einaudi, 2018) la domanda chiave se, quando si parla di trasformazione digitale, il tema sia quello della rivoluzione digitale o, più correttamente a nostro parere, quello della rivoluzione mentale.

Centrare la riflessione su questo punto consente di integrare la complessità all’interno della cultura dell’organizzazione, a partire dalla governance che, com’è ovvio, è protagonista di questa evoluzione, ma con il contributo di stimolo dei livelli più operativi.

È dall’ascolto che occorre partire per avviare – o portare avanti – la discussione sul tema della digitalizzazione per coglierne la portata e le opportunità. Quella che definivamo “una governance trasformata” governa l’approccio culturale, interiorizza il cambiamento e lo elabora secondo i paradigmi organizzativi senza snaturarli ma, al contrario, riprocessandoli perché siano funzionali allo sviluppo.

 

In questo modo parlare di digitalizzazione diventa un processo, non un insieme di strumenti slegati e variamente casuali, che ha al centro, com’è giusto che sia, lo sviluppo della mission e il suo futuro.

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